I fumatori in un mondo privo di buon senso

I fumatori in un mondo privo di buon senso

Ah, il fumo! Sono un fumatore, il che – ammesso così senza fronzoli – oggi equivale all’ammissione “mi drogo“, oppure anche peggio. Per qualche misterioso motivo, un vizio che ha accompagnato la storia dell’uomo fin dai primordi è diventato socialmente intollerabile e urta più sensibilità di tanti altri. Come si deve comportare un fumatore? Come cambiano le regole sociali, e di bon-ton, per chi è abituato ad avere un po’ di nicotina che scorre nel sangue?

Il rispetto reciproco è alla base della convivenza e la “tolleranza” di un gentleman nasce dalla comprensione, dalla conoscenza e dalla volontà. Alcune riflessioni, al di là del galateo, possono servire ad inquadrarlo nella vita di tutti i giorni, per evitare esagerazioni in un mondo in cui il buon senso ha lasciato il posto all’astio e all’ostilità: ecco quindi un incipit generale e alcuni consigli pratici.

Il fumo come piacere

Si esclude che una persona elegante viva una vera e propria dipendenza dal fumo. Sappiamo tutti che, al di là delle forme, se uno fuma, tendenzialmente è schiavo di un vizio. Il che lo indebolisce, lo rende imperfetto, lo allontana dall’ideale dell’uomo tutto d’un pezzo (e ne evidenzia d’altra parte l’apprezzabile umanità). Eppure, la signorilità passa anche dal concedersi piccoli spazi di questo tipo, fintanto che il fumo corrisponde ad un piacere. Perché, inutile negarlo, chiunque abbia provato dopo un’abbondante cena a riempirsi i polmoni del fumo di una sigaretta, o chiunque sia rimasto a sorseggiare un buon whiskey con un sigaro o una pipa in mano, sa perfettamente che si tratta di un piacere. Se il rapporto si corrompe, e diviene malato, allora anche il fumo (specialmente quello di sigaretta) assume tinte più fosche e giustificarlo diviene più difficile.

Ovvio che non sto promuovendo in alcun modo il fumo verso i miei lettori. Fa male, uccide, danneggia voi e chi vi sta intorno, rende impotenti e fa ingiallire i denti. Ecc. ecc.

Ma è anche un simbolo di libertà e di tradizione. Soprattutto da quando la massa si è lasciata ammaliare dalla propaganda anti-fumo e dal salutismo con maggiore trasporto di quando si lasciava convincere dalle pubblicità delle majors del tabacco (= popolo bue) – anche perché quest’ultima l’hanno vietata – e soprattutto da quando accendersi una sigaretta viene visto né più né meno come prendere in mano un candido coniglietto e squartarlo con un cavatappi. L’esagerazione, l’estremismo, il fondamentalismo sono sempre nemici dell’eleganza.

Nulla deroga all’educazione

La normativa è nemica del fumatore, si sa. Nei locali pubblici è fatto divieto di fumare e non c’è quasi più neanche un residuo di protesta. Unanime il giudizio (e questa volta del tutto motivato e condiviso): si sta meglio da quando nei ristoranti non c’è più la nebbia e i vestiti, una volta usciti, non puzzano di posacenere. Però i fumatori ci sono ancora ed è nato un nuovo rito sociale, legato all’antica valenza (e funzione – vera e propria) del fumo come aggregatore sociale: la transumanza dei tabagisti.

Si tratta del fenomeno per cui, in qualsiasi contesto, con qualsiasi condizione ambientale, in qualsiasi stagione, da un tavolo con più di tre commensali una quota X di questi si alza (tra primo e secondo, tra secondo e dolce, prima del primo, dopo il caffè… a caso) ed esce dal locale. Ora, non ci sarebbe neanche da dirlo: da tavola non ci si alza finché il pasto e la convivialità rappresentata dalla conversazione successiva non sono conclusi. E’ orribile il costruirsi di fazioni, e quella ventata di fumo freddo che investe i non-fumatori rimasti quando i transumanti ritornano a prendere posto, ciascuno con discorsi evolutisi indipendentemente, con un muro invisibile e – manco a dirlo – fumoso, che è venuto a crearsi.

Ma siamo uomini di mondo, e ammettiamo eccezioni (si badi bene: eccezioni significa eccezioni, non giustificazioni). Se il gruppo è particolarmente in confidenza e l’uscita prettamente ludica, non è educato ma si può fare. Qui si entra in una forma di educazione legata al branco, che come ogni organizzazione sociale struttura le proprie regole e consuetudini indipendentemente, ed anzi ne trae una forza individuale tutta sua. Allo stesso modo, è consentito con uno scopo preciso: di anarchica contestazione, in rari casi in cui consapevolmente ci si concede una espressa scortesia nei confronti di chi organizza la serata; oppure di diretta cortesia verso un singolo fumatore in difficoltà (mettete caso, ad una cena formale, di trovarvi accompagnatore o chaperon di una dolce fanciulla col vizio del fumo che, per qualche motivo a noi ignoto, non si rende conto dell’inappropriatezza dell’alzarsi prima della fine: il nostro dovere a quel punto non sarà quello di fare i primi della classe, mantenere la posizione e guardarla magari con un po’ di biasimo, ma seguirla e darle man forte, anche se non fossimo fumatori, lasciando intuire altre cause per la breve pausa, oppure semplicemente condividendo il peso della disapprovazione collettiva).

Sia chiaro che il biasimo tollerato è quello rivolto alla scortesia di alzarsi quando non è tempo, non certo quello legato al fatto che siamo fumatori.

Infine – ovviamente – esiste il caso che si sia tutti fumatori o tutti affiatati e che le “pause” in cui ci si alza dalla tavola siano corali. Nessuno rimane seduto e tutti si spostano fuori. Il Galateo risponde con un interrogativo lampeggiante, perché un tempo gli uomini se ne andavano davvero a bere amari in una stanza appositamente adibita al fumo, ma dei ristoranti di tutti i generi che ci sono oggi non facevano menzione: non si dà fastidio né si manca di rispetto ad alcuno, quindi mi sento di dire che è un comportamento corretto.

Non è (ancora) un crimine

Dicevamo della normativa sempre più ostica e del biasimo sociale. Bene, fumare tabacco non è ancora vietato in assoluto anche se, per qualche assurdo motivo, si sta portando avanti più la battaglia per consentire il fumo della marijuana che non una storica tolleranza verso chi “s’appiccia una paglia”.

Qui ci sono due regole speculari:

  • il fumatore non deve mai, e mai, e poi mai, dare fastidio al prossimo. Deve rendersi conto che il fumo non è solo quello caldo che esce da ciò che sta fumando mentre sta fumando, ma è anche quell’odore che permane nell’ambiente, e che permane sul proprio corpo, che può dar fastidio o addirittura nauseare il prossimo.
  • il non fumatore non deve essere talebano. Intanto, se ospita qualcuno a casa sua, dovrebbe prendere in considerazione il fatto di non essere una sorta di rapitore che detta le regole ai propri ostaggi, ma un amorevole padrone di casa che cerca di metterli più a loro agio possibile. Anche tollerando un odore di fumo che per chi è meno abituato potrebbe per qualche istante dar fastidio.

Sta di fatto, tutto sommato, che chi deve fare un passo indietro (per quanto “filosoficamente” e come tradizionalista mi dia fastidio ammetterlo, oltre che come fumatore) è sempre chi disturba lo status quo, quindi il più delle volte chi vorrebbe fumare.

Ma d’altra parte, se non è una vera e propria – inelegante – dipendenza, allora si potranno anche resistere quelle poche ore di astinenza. Magari per concedersi poi, nel proprio studio o in momenti più appropriati e con persone che condividono lo stesso piacere, rituali come quelli della pipa o sfumature di gusto importanti come sigari di importazione attentamente scelti e ragionati. Dietro i quali ci sono interi mondi, che in futuro andremo a visitare insieme.

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