Quando l’abito fa il monaco

Quando l’abito fa il monaco

Oggi vi parlo di un film e di un esperimento sociale. Due cose che non c’entrano niente l’una con l’altra, ma che mi aiutano a sostenere il concetto che “l’abito fa il monaco”. E non perché siamo legati alle apparenze, ma perché le forme esteriori danno modo alla nostra mente di anticipare sommariamente una previsione di massima sui contenuti interiori. Il film di cui vi citerò qualche passo è recente, non un cult ma un’americanata d’azione: Kingsman – Secret Service; mentre l’esperimento sociale è “condotto” da un canale Youtube svedese, STHLM Panda.

Un film che è tratto da un fumetto ci promette tanto divertimento ma pochi spunti di riflessione. Invece Kingsman qualche citazione carina ce la lascia, e ve la ripropongo qua sotto. In fondo non è solo un kolossal sui sarti, né l’action-movie del secolo, ma un simpaticissimo mix di elementi che fanno sorridere e giocano bene con gli stereotipi del genere.

  • I modi definiscono l’uomo.
  • Il nome di un gentleman deve comparire sul giornale solo tre volte: quando nasce, quando si sposa e quando muore.
  • Essere un gentleman non c’entra con il parlare bene, ma col sentirsi a proprio agio nella propria pelle.
  • “Non essere orgoglioso di essere superiore a qualcuno, ma sii orgoglioso di essere migliore di com’eri ieri…”

Non mi dilungo oltre, ma vi consiglio di guardarlo, per apprezzare di più questo video che, invece, dimostra come lo stesso uomo vestito in smoking non abbia problemi a chiedere una “cortesia” ad un autista di autobus, mentre vestito da strada rientri nella quotidiana lotta per la sopravvivenza tra pari.

La morale? Dobbiamo indignarci ed essere schifati? Dobbiamo vestirci bene per approfittarcene?

Assolutamente no. Abbiamo solo avuto alcune evidenze sul fatto che come ci presentiamo e cosa decidiamo di comunicare con il nostro aspetto ha – come ogni cosa al mondo – le sue conseguenze. Si può vivere fregandosene, mancando di rispetto al prossimo ed a se stessi, oppure ostentando stili variopinti e creativi perché appagano qualche nostra pulsione. Anche in questi casi, se non si urta la sensibilità di nessuno, si è liberi di farlo senza la minima critica (o meglio – con tutti i diritti di infischiarcene delle critiche altrui), ma non si è liberi di non accettarne il riscontro.

E non si tratta di cattiveria o pregiudizio, ma dello stesso principio con cui funziona il nostro ragionamento. Ho trovato gli scorsi giorni un’interessante analisi sul tema euristico qui (ok, non è una fonte accademica, ma lo trovo ben scritto): «un’euristica di pensiero è una strategia di pensiero che permette di trovare una soluzione ad un problema in maniera veloce ma, quasi sempre, approssimativa. Approssimativo non vuol dire per forza sbagliato, ma a volte quel approssimativo può diventare un vero e proprio epic fail». Insomma, il nostro cervello risparmia energie quando può e associa ad esperienze pregresse i nuovi stimoli: vediamo un signore ben vestito e gentile? Bene, ci sovvengono inconsciamente tutte le esperienze che abbiamo avuto con signori ben vestiti e gentili, e questo ci porta ad avere fiducia. Ci troviamo di fronte invece ad un cosiddetto “mozzone”? Magari avrà le migliori intenzioni del mondo, ma il nostro subconscio questa volta richiamerà immagini di quella volta che un ubriacone vestito similarmente ci ha insultato, di quell’altra in cui sembrava che più che chiederci l’elemosina ce la stessero intimando, oppure di quando a tarda notte abbiamo avuto paura di subire una rapina bella e buona in piena regola.

Razionalizzate pure, ma l’istinto è molto più emotivo di quanto non pensiate. E soprattutto: l’abito fa il monaco.

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